Sono una giovane dell'altro mondo, Alessandra di 28 anni della provincia di Milano.
Già a qualche mese dalla fine della laurea specialistica, avevo le idee chiare: non essendo riuscita a concretizzare l’esperienza dell’Erasmus, volevo assolutamente trascorrere un periodo all’estero, per perfezionale la conoscenza della lingua inglese.
Supportata da un gruzzolo di soldi donati per il completamento degli studi da un nonno previdente, ho avuto la possibilità di scegliere senza troppi pensieri la meta, ed ho colto l’occasione per passare tre mesi negli Stati Uniti.
Ho pianificato il viaggio da sola, compresi biglietti, iscrizione ad una scuola di inglese, ed alloggio.
Partenza fissata 2 settimane dopo la laurea (aprile 2008), con rientro a fine estate, consapevole che da settembre sarebbe iniziata una nuova vita, non più da studentessa spensierata ma da lavoratrice a tempo pieno.
Le prime tre settimane le ho trascorse in viaggio lungo la East Coast, con una cara amica che stava concludendo un percorso simile a quello che avrei iniziato di lì a poco.
NY, Washington, Philadelphia, e Miami, con spostamenti in pullman e pernottamento in ostelli. Il primo impatto è stato sicuramente positivo, nonostante l’accento semi incomprensibile e la grandezza delle città.
Per i seguenti 2 mesi ho abitato in una splendida casetta vicino al mare, alla periferia di Boston. La proprietaria era una signora piuttosto bizzarra di mezza età originaria del Libano, ma ho avuto la fortuna di legare molto con un altro coinquilino della casa, un ragazzo giapponese.
Ho trascorso il mio soggiorno a Boston cercando di approfittare il più possibile dell’esperienza, impegnandomi nello studio della lingua ,vivendo e visitando in lungo e in largo la città. Ricordo con piacere le chiaccherate con i compagni di scuola di diverse nazionalità, il confronto tra le diverse culture, le passeggiate nel parco, lungo il fiume o al mare, la frequentazione della biblioteca comunale alla ricerca di qualche dvd o libro, la visione di partite di baseball e basket (sport equiparabili al calcio in Italia), le escursioni tipiche come quella dell’avvistamento delle balene, il teatro, i concerti, la partecipazione a festival locali o feste nazionali come il 4 luglio.
In questi mesi sicuramente ho apprezzato la possibilità di conoscere, cercare di comprendere e confrontarmi con una cultura diversa dalla mia. Dell’Italia ho sempre sentito la mancanza dell’immenso patrimonio culturale ed il cibo – unica cosa alla quale non sono davvero riuscita ad abituarmi nei 3 mesi di permanenza negli States!
A chi fosse interessato ad intraprendere un’esperienza simile alla mia di soggiorno all’estero consiglio semplicemente di partire, senza pensarci troppo! Sperimentare, provare, aprirsi alla nuova cultura, al nuovo stile di vita, immergersi nelle usanze. Non può che arricchire la persona, ovunque si decida di andare. Se poi si decide di tornare in patria, lo si fa con una nuova consapevolezza ed una visione del mondo più ampia.
Amo il mio Paese, per la sua cultura, il clima, il calore della gente, persino per certe sue piccole contraddizioni. Ma sempre più spesso mi ritrovo a pensare che in questo momento pare non essere un paese per giovani!
Se guardo Milano, considerata una delle grandi città italiane dove c’è maggior offerta di lavoro, il costo della vita è troppo alto rispetto alla precarietà in cui viviamo.
Il mercato del lavoro è da molto tempo più o meno ovunque stagnante, ed i giovani hanno poche tutele sotto questo punto di vista.
Vorrei si potesse vivere con meno incognite.
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